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Come si arrivò all' Enciclica Pontificia
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L’augusto volto di Pio IX fu visto profondamente commosso. Egli lodò molto lo spirito di devozione che animava quei giovani; li ringraziò, e, pronunziando le parole più amorevoli e incoraggianti, concluse presso a poco in questa sentenza:

Parole di Sua Santità

"Questo che voi intendete di fare, con tanto vostro rischio, è un bell’atto di cui Dio terrà certamente conto un giorno... Ora, per verità, i momenti sono supremi, né sappiamo cosa la Provvidenza sia per disporre nel domani. Ciò non ostante la bella dimostrazione che voi mi fate non deve restare inutile. Formare un corpo numeroso così su due piedi, in questi momenti, sarebbe cosa impossibile; sia dunque intanto una nobile protesta in faccia al mondo. Voi siete nove, e certamente ciascuno di voi conta almeno dieci amici di cuore che sentano egualmente: ebbene riuniteli; sarete un centinaio di giovani congiunti nello spirito e nell’affetto. Sarete pochi, ma sarete compatti; sarete un germe fecondo, che con la benedizione di Dio, potrà fruttare assai". — E sì dicendo, il magnanimo Pontefice, benedicendoli con viva effusione di cuore, li congedava.
Da quel momento con grande alacrità si prese a formare il nuovo Corpo, e per molti giorni fino a tardissima notte si lavorò a comporre il regolamento e l’organamento della nuova Guardia, che fu detta di Onore. Intanto i cento erano presto divenuti trecento, ogni giorno crescevano numerose le richieste di ammissione; quando all’improvviso la battaglia di Solferino, la pace di Villafranca, la proposta fallace di una Confederazione italiana sembrarono cambiare affatto di aspetto le cose. La cessazione del pericolo, e l’ampliazione contemporanea della già esistente Guardia Palatina * [Era stato appena approvato dal S. Padre il disegno e il regolamento dei nostri volontarî, quando un proclama della Segreteria di Stato apriva i ruoli per un secondo battaglione della Guardia Palatina], fecero sospendere l’opera incominciata, e anche questa volta il disegno dei Volontarî restò ineseguito * [Contemporaneamente persone di antica devozione alla S. Sede proponevano di formare un corpo di popolani romani, di quelli che tanto turbarono i sonni dei framassoni nei primordi di questo secolo ed anche più tardi].
In mezzo a queste cose la pace di Villafranca conduceva l’esercito piemontese nelle Romagne e nell’Emilia, le quali provincie venivano così strappate di fatto al dominio della S. Sede. L’anno seguente, 1860, s’invadevano armata mano le Marche e l’Umbria, e coll’abbominevole agguato di Castelfidardo si rubavano anche queste al Pontefice. Le milizie subalpine erano alle porte di Roma, e i cospiratori attendevano ogni giorno che entrassero nella Eterna Città. Presso che totale era lo scuoramento nei buoni, al colmo la baldanza dei tristi; quando tra i nostri giovani amici sorse il pensiero di un nuovo genere di milizia, la milizia della preghiera.
Correva il mese di marzo del 1861, allorché fu stabilito d’invitare i Romani a portarsi a S. Pietro nei giorni di Venerdì, mentre il S. Padre vi scendeva coi Cardinali per la visita della sacra Stazione, e di unirsi a pregare con lui pel trionfo della Chiesa e per la salvezza di Roma. Grande fu il concorso nel primo Venerdì, grandissimo oltre ogni aspettazione nei Venerdì susseguenti. Quel ritrovarsi in così straordinario numero alla tomba di S. Pietro, rianimò il coraggio di tutti, in quello che sbigottiva i rivoluzionarî, i quali, a turbare quel movimento religioso, minacciarono di far scoppiare bombe in mezzo alla folla (e ne fecero pur troppo scoppiare più d’una in varî luoghi) [...]. Ma ottennero l’effetto contrario; poiché il concorso aumentò di cento tanti. Non andò guari e incominciarono le grandi dimostrazioni romane in onore del Papa, e le luminarie del 12 aprile, famose in tutto il mondo, ad impedire le quali indarno si arrovellarono nei più scellerati modi i settarî .
Intanto diamo fin d’ora i seguenti appunti: in ordine al fallito progetto dei Volontarî Romani.

Allocuzione tenuta dalla Santità di Nostro Signore Pio, per divina Provvidenza Papa IX nel Concistoro segreto dei 26 Settembre 1859

"Venerabili Fratelli.

"Con grandissimo dolore dell’animo nostro, Venerabili Fratelli, nell’Allocuzione tenutavi il giorno venti del passato mese di Giugno abbiamo lamentato tutto ciò che dai nemici di questa Sede Apostolica si è commesso in Bologna, Ravenna ed altrove contro il civile e legittimo principato nostro e della medesima S. Sede. Inoltre in quella stessa Allocuzione abbiamo dichiarato che essi tutti sono incorsi nelle censure ecclesiastiche e nelle pene inflitte dai sacri canoni, e che tutti i loro atti sono irriti e nulli. E ci confortava la speranza che questi ribelli nostri figliuoli, eccitati e commossi da queste nostre voci, sarebbero tornati al dovere, specialmente essendo a tutti noto quanto sia sempre stata la nostra mansuetudine e dolcezza, fin dal principio del nostro Pontificato, e con quanta alacrità e studio, fra le gravissime difficoltà dei tempi, non abbiamo mai lasciato di adoperare ogni nostra cura e ogni nostro pensiero a promuovere anche la temporale utilità e tranquillità dei nostri popoli. Ma questa nostra speranza andò pienamente fallita. Giacché essi, confortati specialmente da consigli, istigazioni e ogni sorta di aiuti forastieri, e fatti perciò più audaci, ogni cosa tentarono a fine di perturbare tutte le provincie dell’Emilia soggette alla nostra dominazione, e separarle dal principato di questa S. Sede. Quindi in quelle stesse provincie, innalzato il vessillo della ribellione e della defezione, e abolito il Governo Pontificio, in prima si stabilirono Dittatori del Regno Subalpino, i quali poi furono chiamati Commissarî straordinarî, e dopo Governatori generali, i quali arrogandosi temerariamente i diritti del supremo nostro Principato, rimossero dai pubblici ufficî coloro che, per la loro specchiata fede verso il legittimo Principe, sospettavansi a non consentire coi loro pravi consigli. Non dubitarono poi essi medesimi d’invadere ancora la potestà ecclesiastica, avendo pubblicate nuove leggi sopra gli spedali, gli orfanotrofî ed altri luoghi e istituti pii. Né temettero di vessare ancora alcuni ecclesiastici e di espellerli, ed anche gettarli in carcere. Mossi poi apertissimamente dall’odio verso quest’Apostolica Sede, ardirono di riunirsi in Bologna, il giorno sei di questo mese, in assemblea, da loro detta nazionale, dei popoli dell’Emilia, ed in essa promulgare un decreto pieno di false accuse e falsi pretesti, in cui, mendacemente asserendo l’unanimità dei popoli contro i diritti della Chiesa, dichiararono di non voler più oltre sottostare, al Governo Pontificio. E nel giorno seguente dichiararono parimente, siccome ora è la moda, di volersi unire ai dominî e alla obbedienza del Re di Sardegna.

"Contemporaneamente a questi lamentevoli ardimenti, non lasciano i capi di questa fazione di impiegare ogni loro arte nel corrompere i costumi del popolo, col mezzo specialmente dei libri e dei giornali stampati in Bologna ed altrove, coi quali si favorisce la universale licenza, e il Vicario di Cristo in terra si lacera d’ingiurie, e gli esercizi di pietà e di religione si pongono in ludibrio, e si deridono le preghiere dirette ad onorare l’immacolata e santissima Madre di Dio Vergine Maria, e ad invocarne il potentissimo patrocinio. Negli spettacoli teatrali poi si offende l’onestà dei costumi, il pudore e la virtù, e le persone sacre si espongono al pubblico disprezzo ed alla comune derisione.

"E queste cose si fanno da coloro che si dicono cattolici, e cultori e veneratori della suprema spirituale potestà ed autorità del Romano Pontefice. Ognuno vede quanto sia fallace questa loro dichiarazione; giacché essi, così adoperando, cospirano con tutti coloro che guerreggiano crudamente il Romano Pontefice e la Chiesa Cattolica e fanno ogni sforzo perché, se fosse possibile, la nostra religione e la sua salutare dottrina sia svelta e sradicata dall’animo di tutti.

"Per le quali cose, voi specialmente, Venerabili Fratelli, che siete partecipi delle nostre fatiche e molestie, ben facilmente intendete in qual dolore Noi siamo immersi, e di quale lutto e indegnazione siamo compresi insieme con voi e con tutti i buoni.

"Ma in mezzo a tanto dolore ci consoliamo col sapere che la massima parte dei popoli dell’Emilia, dolente di simili macchinazioni e sommamente abborrente da chi le commette, si conservi in fede del suo legittimo Principe e costantemente aderisca al civile principato Nostro e di questa Sede, e che l’universo Clero delle stesse provincie, degno certamente di somme lodi, nulla abbia avuto tanto a cuore, quanto di compiere diligentemente il suo dovere in mezzo a tanto moto e tumulto di cose, e di apertamente mostrare quanto sia fedele ed ossequente verso di Noi e questa Apostolica Sede, sprezzando e non curando ogni benché durissimo pericolo.

"E dovendo Noi, pel dovere del nostro gravissimo ufficio e per l’obbligo di solenne giuramento, propugnare intrepidamente la causa della nostra santissima Religione, e fortemente difendere i diritti ed i possessi della Chiesa Romana da ogni violazione, e costantemente sostenere il Principato di questa Apostolica Sede, e trasmetterlo intero a’ nostri successori come Patrimonio di S. Pietro, non possiamo non innalzare di nuovo l’Apostolica Nostra voce, affinché tutto il mondo cattolico specialmente, ed in prima tutti i venerabili fratelli nostri Vescovi, da’ quali, tra le grandissime nostre angustie, ricevemmo, con somma consolazione dell’animo nostro, tante esimie ed illustri testimonianze della loro fede, sollecitudine ed amore verso Noi, questa S. Sede ed il Patrimonio di S. Pietro, conoscano quanto altamente da Noi si condanni quanto osarono commettere costoro nelle provincie dell’Emilia soggette al pontificio Nostro dominio. Pertanto, in quest’amplissimo vostro consesso, nuovamente riproviamo e dichiariamo irriti e nulli gli atti dei ribelli già commemorati e tutti gli altri, comunque essi si chiamino, commessi contro la potestà e l’immunità ecclesiastica, e la suprema Nostra e di questa S. Sede civile dominazione, principato, potestà e giurisdizione.

"Niuno poi ignora che tutti coloro, i quali nelle predette provincie diedero ai detti atti la loro opera, consiglio, od assenso, od in qualunque altro modo lo favorirono, sono caduti nelle censure e pene ecclesiastiche, le quali, nella predetta Nostra Allocuzione, abbiamo rammentare.

"Del resto, Venerabili Fratelli, ricorriamo con fiducia al trono della grazia per ottenere l’aiuto divino e la fortezza in circostanze sì aspre: né lasciamo di umilmente e caldamente pregare e supplicare, con assidue e fervorose preghiere, Dio ricco di misericordia, perché, coll’onnipotente sua virtù riduca a migliori consigli e alle vie della giustizia, della Religione e della salute tutti gli erranti, dei quali alcuni forse, miseramente ingannati, non sanno quello che si fanno".

E ora riportiamo la gravissima Enciclica, noi accennata più sopra, con la quale la s. m. del Pontefice Pio IX condannava gli atti tutti empiamente iniqui compiti fino allora dalla rivoluzione anticristiana d’Italia.

Enciclica Pontificia

che condanna le usurpazioni piemontesi

"Venerabili Fratelli, salute ed Apostolica Benedizione.

"Noi non possiamo certamente esprimervi a parole, o Venerabili Fratelli, quanto gaudio e quanta letizia, fra le nostre gravissime amarezze, ci abbia arrecato per parte di Voi tutti e sì dei fedeli commessi alle vostre cure la singolare e meravigliosa fede, pietà ed osservanza inverso di Noi e di questa Sede Apostolica, e l’egregio consentimento, l’alacrità, il fervore e la costanza nel difendere i diritti della medesima Sede e nel patrocinare la causa della giustizia. Imperciocché come prima dalle Nostre lettere encicliche a voi spedite nel dì 18 giugno dell’anno scorso, e quindi dalle due Nostre Allocuzioni concistoriali, con sommo dolore del vostro animo, conosceste i gravissimi mali, onde erano miseramente colpite le cose sacre e civili in Italia; e come prima comprendeste gl’iniqui moti e ardimenti di ribellione contro i legittimi Principi della stessa Italia, e contro il sacro e legittimo principato Nostro e di questa Santa Sede; Voi secondando tosto i Nostri voti e le Nostre cure, non frapponendo verun indugio, vi affrettaste con ogni studio ad ordinare nelle vostre diocesi pubbliche preghiere. Quindi non solo colle vostre lettere, piene di profondo ossequio e carità a Noi inviate; ma ancora, sia colle epistole pastorali, sia con altre scritture dotte e religiose, diffuse nel popolo, alzaste l’episcopale vostra voce, con lode insigne del vostro Ordine e del vostro nome, a propugnare strenuamente la causa della santissima nostra Religione e della giustizia, e a detestare con ogni vigore i sacrileghi attentati commessi contro il civile principato della Chiesa Romana. E, difendendo costantemente questo principato, vi siete recato a gloria di professare ed insegnare che esso, per singolare consiglio di quella divina Provvidenza, che regge e governa ogni cosa, fu dato al Romano Pontefice, acciocché questi, col non essere mai soggetto a nessun potere civile, possa esercitare sopra l’universo mondo, con libertà pienissima e senza niun impedimento, il supremo ufficio dell’Apostolico Ministero, a Lui dallo stesso Signor Nostro Gesù Cristo divinamente affidato.

"Dalle quali vostre dottrine ammaestrati, e dall’egregio esempio eccitati, i figliuoli a Noi carissimi della Chiesa Cattolica, con sommo studio gareggiano di significarci per parte loro i medesimi sentimenti. Conciosiacché da tutte le regioni dell’intero orbe cattolico ricevemmo quasi innumerevoli lettere sì di ecclesiastici e sì di laici d’ogni dignità, ordine, grado e condizione, e perfino lettere sottoscritte da centinaia di migliaia di Cattolici, colle quali tutte essi manifestano e confermano la loro venerazione e figliale devozione verso di Noi e verso la Cattedra di Pietro, e, detestando fortemente la ribellione e gli attentati commessi in alcune nostre provincie, sostengono che il patrimonio del Beato Pietro debba onninamente conservarsi intero ed inviolato, e difendersi da ogni offesa; e ciò non pochi tra loro dimostrarono con dottrina e sapienza in libri appositamente dati alla luce. Ora queste preclare manifestazioni sì vostre, e sì dei Fedeli, meritevoli certamente di ogni lode ed encomio, e degne che vengano iscritte nei fasti della Chiesa Cattolica a caratteri d’oro, talmente ci commossero, che non ci potemmo astenere dallo sclamare lietamente: Benedetto sia Dio e il Padre del Signor Nostro Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, che così ci consola in sì aspro travaglio. Imperocché in mezzo alle gravissime angustie, dalle quali veniamo oppressi, nulla poteva riuscirci più grato, nulla più giocondo, nulla più desiderato, che il vedere di qual concorde ed ammirabile premura voi tutti, o Venerabili Fratelli, siete animati ed accesi per difendere i diritti di questa Santa Sede, e con quale egregia volontà i Fedeli consegnati alle vostre cure in ciò vi secondano. Quindi Voi assai agevolmente potete da per voi stessi pensare quanto altamente la paterna Nostra benevolenza verso di Voi e verso gli stessi Cattolici ognidì di buon dritto e meritatamente si accresca.

"Senonché, mentre il nostro dolore veniva alleggerito da un così stupendo impegno ed amore sì vostro e sì dei Fedeli verso di Noi e di questa Santa Sede, una nuova cagione di tristezza ci venne da altra parte. Il perché noi vi scriviamo queste lettere, affinché in cosa di tanta importanza siano principalmente a Voi di bel nuovo manifestissimi i sentimenti del Nostro animo. Non ha guari, siccome la più parte di Voi già conoscerà, venne dal giornale di Parigi intitolato Moniteur, divulgata una lettera dell’Imperatore dei Francesi, colla quale egli rispondeva a una Nostra epistola, in cui con ogni calore pregavamo la Maestà Sua Imperiale a volere col validissimo suo patrocinio nel Congresso di Parigi mantenere intero ed inviolabile il temporale dominio Nostro e di questa Santa Sede, e rivendicarlo dalla iniqua ribellione. Or nell’anzidetta sua risposta quel supremo Imperatore, ricordando certo suo consiglio propostoci poco tempo innanzi intorno alle provincie ribelli del nostro dominio pontificio, Ci esorta a voler rinunziare al possedimento di quelle provincie, sembrando a lui che solo così possa ora rimediarsi al presente perturbamento delle cose.

"Ciascuno di Voi, Venerabili Fratelli, intende benissimo che Noi, memori del gravissimo nostro dovere, non abbiamo potuto tacere dopo ricevuta una tale lettera. Perciò senza frapporre dimora ci affrettammo a rispondere allo stesso Imperatore, dichiarando limpidamente e apertamente con Apostolica libertà dell’animo Nostro, che in nessun modo affatto Noi potevamo annuire al suo consiglio: perché esso presenta insuperabili difficoltà, avuta ragione della dignità Nostra e di questa Santa Sede, e del Nostro sacro carattere e dei diritti della Santa Sede, i quali non appartengono alla successione di qualche reale famiglia ma bensì a tutti i Cattolici; ed insieme abbiamo professato non potersi da Noi cedere ciò che non è Nostro, e bene da Noi intendersi che la vittoria, che si vorrebbe concessa ai ribelli nell’Emilia, sarebbe di stimolo agl’indigeni ed ai forestieri perturbatori delle altre provincie a fare il medesimo, vedendo la prospera fortuna toccata a quei primi. E fra le altre cose al medesimo Imperatore manifestammo non poter Noi rinunziare alle dette provincie dell’Emilia, appartenenti al Nostro pontificio dominio, senza violare i solenni giuramenti dai quali siamo legati, senza eccitare querele e moti nelle altre nostre provincie, senza recare ingiuria a tutti i Cattolici; in fine senza debilitare i diritti non solo dei Principi d’Italia, che furono ingiustamente spogliati dei loro dominî, ma ancora di tutti i Principi del mondo cristiano, i quali non potrebbero con indifferenza vedere introdotti certi perniciosissimi principî. Né abbiamo tralasciato di notare, che la Maestà Sua non ignorava per quali uomini, con quale pecunia, e con quali aiuti i recenti attentati di rivolture a Bologna, a Ravenna ed in altre città erano stati eccitati e compiuti; mentre la massima parte di quei popoli quasi attonita si rimase dal partecipare a quegli scompigli inaspettati, e si mostrò del tutto aliena dal volerli seguire. E poiché il Serenissimo Imperatore credeva che Noi dovessimo cedere quelle provincie pei moti di ribellione ivi di quando in quando suscitati, abbiamo risposto a tal proposito: questo argomento, siccome quello che prova troppo, non provar nulla. Imperocché moti non dissimili sì negli Stati d’Europa e sì altrove accaddero spessissimo; e niuno è che non vegga, non potersi da ciò ritrarre motivo di diminuire il civile dominio di un legittimo Principe. E non abbiamo omesso di esporre al medesimo Imperatore che dalla ultima sua lettera era molto diversa la prima, scritta a Noi avanti la guerra d’Italia e che ci recava non afflizione, ma consolazione. Avendo poi giudicato, per certe parole di codesta lettera imperiale, pubblicata nella mentovata effemeride, di dover temere che le predette Nostre provincie dell’Emilia già s’avessero a riguardare come staccate dal pontificio Nostro dominio; perciò abbiamo pregato, in nome della Chiesa, la Maestà Sua, di fare in modo, anche pel suo proprio bene e vantaggio, che tale nostro timore fosse pienamente dileguato. E con quella paterna carità, con cui dobbiamo provvedere alla eterna salute di tutti, gli abbiamo richiamato alla mente, che da ciascuno si dovrà un giorno dare stretta ragione di sé al tribunale di Cristo, ed incontrare giudizio severissimo; e perciò dover ciascuno attesamente studiarsi di aver a provare gli effetti della misericordia anziché della giustizia.

"Queste sono le cose precipue che fra le altre abbiamo risposte al supremo Imperatore dei Francesi; le quali abbiamo giudicato di dover al tutto manifestare a Voi, o Venerabili Fratelli, affinché voi in prima, ed anche tutto l’Orbe Cattolico viemmeglio sappia che Noi, aiutandoci Dio, pel gravissimo debito dell’uffizio nostro, senza timore veruno facciamo ogni sforzo, e non tralasciamo verun tentativo per difendere fortemente la causa della religione e della giustizia, ed il civile principato della Chiesa Romana; e mantenere costantemente intere ed inviolate le sue possessioni temporali e i suoi diritti, i quali interessano tutto l’Orbe Cattolico; e provvedere altresì alla giusta degli altri Principi. Ed avvalorati dal divino aiuto di Colui che disse: Nel mondo sarete angustiati; ma abbiate fidanza, io ho vinto il mondo (Io: c. XVI V. 33); e beati quei che soffrono persecuzione per la giustizia (Matth: c. V, V. 10); siamo preparati a seguire le illustri vestigia de’ nostri Predecessori, ad emularne gli esempî, e patire ogni cosa aspra ed acerba, ed anche a dare la vita, anziché disertare in alcun modo la causa di Dio, della Chiesa e della giustizia. Ma ben di leggieri potete argomentare, Venrabili Fratelli, da quanto dolore siamo trafitti, vedendo da quale atrocissima guerra la santissima nostra Religione, con grandissimo detrimento delle anime, è combattuta, e da quali tribuni veementissimi è conquassata la Chiesa e questa Santa Sede. E facilmente ancora comprendete come gravissima sia la nostra angoscia, ben sapendo quanto è grande il pericolo delle anime in quelle sconvolte Nostre provincie; dove, per opera specialmente di pestiferi scritti diffusi nel pubblico, la pietà, la Religione, la fede e l’onestà dei costumi di giorno in giorno vengono scrollate.

"Voi dunque, Venerabili Fratelli, i quali siete chiamati a parte della Nostra sollecitudine, e che con tanta fede, costanza e virtù vi accendeste a propugnare la causa della Religione, della Chiesa e di questa Sede Apostolica, continuate con maggior animo e impegno a difendere la medesima causa, ed ogni giorno infiammate viemmaggiormente i Fedeli commessi alle vostre cure, acciocché essi sotto il vostro indirizzo non cessino mai di porre ogni opera ed ogni studio ed ogni consiglio per la difesa della Cattolica Chiesa e di questa Santa Sede, e per la conservazione del civile principato della medesima e del patrimonio del Beato Pietro, la tutela del quale appartiene a tutti i Cattolici.

"Quello però che massimamente, quanto sappiamo e possiamo, chiediamo da Voi, o Venerabili Fratelli, si è che insieme con Noi e unitamente ai Fedeli commessi alle vostre cure, porgiate senza intermissione fervidissime preghiere a Dio Ottimo Massimo, acciocché Egli comandi ai venti ed al mare, e col Suo potentissimo aiuto assista a Noi, assista alla sua Chiesa, e sorga e giudichi la causa Sua; ed oltreciò colla celeste sua grazia voglia, propizio, illuminare tutti i nemici della Chiesa e di questa Apostolica Sede, e colla onnipotente Sua virtù si degni di ridurli nelle vie della verità, della giustizia e della salute.

"Ed acciocché Iddio, supplicato da Noi, più facilmente porga l’orecchio alle preghiere Nostre e Vostre e di tutti i Fedeli, domandiamo sopra tutto, o Venerabili Fratelli, l’intercessione dell’Immacolata e Santissima Madre di Dio, Maria Vergine, la quale è di tutti noi amantissima madre e speranza fidissima, e potente tutela e sostegno della Chiesa, e del cui patrocinio niente è più valido presso Dio. Imploriamo altresì il suffragio del beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, che Cristo Signor nostro stabilì qual pietra fondamentale della sua Chiesa, contro cui le porte dell’Inferno non potranno mai prevalere; e chiediamo ancora il suffragio del suo coapostolo Paolo e di tutti i Santi che con Cristo regnano in Cielo. Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che Voi, atteso la vostra esimia religione e zelo sacerdotale, in che siete sommamente prestanti, vorrete secondare solertissimamente questi Nostri voti e queste Nostre richieste. E frattanto, come pegno dell’ardentissima Nostra carità verso Voi, impartiamo amantissimamente l’Apostolica Benedizione; la quale muove dall’intimo del Nostro cuore, sì a Voi, o Venerabili Fratelli, come a tutto il Clero, ed ai Fedeli laici commessi alla vigilanza di ciascun di Voi.

"Dato in Roma, presso S. Pietro, il dì 19 Gennaio 1860.

"Del Nostro Pontificato, Anno Decimoquarto".